“Le rivoluzioni non avvengono d’estate” mi disse Bobo nettamente, davanti alla spremuta di pompelmo in una mattina quasi estiva, al caffè Biffi di Varese, mentre parlavamo di tanto, quasi tutto, dalla musica alla politica nazionale. Erano i tempi del Giallo-Verde, quell’esperimento politico naufragato di lì a poco, che ha cambiato tutto, ma in fin dei conti non ha cambiato nulla perché dal Conte I si era passati quasi come se nulla fosse al Conte II. Ecco perché, anche quella volta, Bobo non si sbagliava.
La politica è un’arte nobile. Almeno così dovrebbe essere sia vista che esercitata. Non è raro però, purtroppo, imbattersi in commenti, considerazioni o semplici discussioni nelle quali la politica viene raffigurata come una cosa “sporca”, fatta da persone che “sono tutte uguali, pensano solo a loro”, insomma lo stereotipo del qualunquismo che però, quando è troppo, diventa saggezza popolare.
Infatti, se la politica la assumiamo come Arte, dobbiamo certo prevedere che vi sia un artigiano che la pratichi, che la maneggi, che la eserciti, possibilmente con maestria, sapienza e perché no, anche con una certa dose di eleganza che certamente non guasta. La figura di questo artigiano prende il nome di Politico.
Tanto la politica, quanto anche i Politici, almeno nell’immaginario collettivo, non godono certo di una buona nomea, basti vedere la percentuale sempre in crescita degli elettori che si astengono.
Ciò è dettato da una moltitudine di fattori che sarebbe difficile elencare e catalogare, attribuendo ad ognuno di essi un peso specifico determinate a concorrere al risultato negativo. Possiamo però, estrapolare e cristallizzare 3 fattori che sono delle costanti nello schema, ovvero: La Politica, il Politico, e la società. Tutti sono costanti, ma mutevoli al loro interno. La politica cambia, influenzata dalla società: così che i politici cambiano e fanno cambiare la politica, almeno quanto la società cambia e fa cambiare i politici. Come due poli magnetici questi due fattori sono fortemente correlati e condizionati l’uno dall’altro.
Nel tempo si è via via abituati a una modifica sempre più radicale del tipo di Politico che ci si presentava davanti. Nel dopoguerra spiccavano figure come quelle di De Gasperi, con la sua eleganza e il suo linguaggio forbito, che si rivolgeva a un certo tipo di elettorato. Poi si giunse allo stile di personaggi come Enrico Berlinguer, anch’egli sempre elegante, con un linguaggio sempre impeccabile, ma che per necessità si faceva più chiaro e diretto, così da poter raggiungere ed essere compreso dal suo elettorato. In questo quadro la vera sterzata arriva con Umberto Bossi: il cui linguaggio, nel corpo, negli abiti e nella parola, rompe con il passato. Diretto, magnetico quasi ipnotizzante per l’uditore che guardava con curiosità a questo nuovo fenomeno. Nuovo fenomeno dettato dalle mutazioni della società e, come detto prima, di riflesso, dalle mutazioni della Politica.
Alcuni lo dileggiarono, quasi fosse un bifolco che irrompeva nel salotto buono del potere, senza accorgersi di come Bossi e Maroni fossero la quintessenza del più nobile artigianato della politica. Una nuova forma di stile, capace di abbracciare sia la dimensione pubblica, sia il modo di vestirsi, fino a diventare l’archetipo del buongoverno. Questo successo, a mio giudizio, si fondava su tre pilastri, che ancora oggi segnano lo spartiacque tra politica e antipolitica.
In primis l’ideale, che deve essere messo alla base di ogni azione che si compie. L’ideale che deve rimanere sempre ben saldo nella memoria e nel cuore del politico, che possa guidarlo nelle sue azioni e che possa sempre ricordargli le motivazioni per le quali ha scelto di intraprendere l’arte della Politica. Poi la nobiltà d’animo che passa dal rispetto, sempre e comunque, dell’avversario (mai definire nemico colui che si contrappone con la forza delle sue convinzioni e delle sue idee a te), infine la dimensione morale, la coerenza etica della propria condotta.
Questi sono i 3 principi cardine che ho imparato da Bobo. Alcuni posso dire che me li abbia proprio spiegati, altri si sono sedimentati con il tempo, senza bisogno di una spiegazione, ma osservando, a volte da lontano, altre volte da vicino, e imparando, assorbendo e distillando concetti, pensieri, ragionamenti. Spesso bastava una singola frase a confermare questa particolare visione del ruolo pubblico. Inoltre, ho imparato come, certe volte, sia giusto far saltare il tavolo: ribaltare convenzioni, protocolli, formalità, altrimenti non saremmo quello che siamo. Dei barbari, certo, ma dei barbari sognanti.
Stay tuned!
Stefano Angei