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Era il 19 marzo del 2002, quando ci fu l’omicidio del prof Biagi rivendicato dalle BR.

Quel giorno l’allora Questore di Varese disse a me e a un altro collega: “Andate a Lozza a casa del Ministro Maroni e dite alla famiglia che la Polizia di Stato è qui”.

Da allora ho vissuto 17 anni della mia carriera lavorativa al suo fianco. È stata una bella avventura.

Sempre con la valigia pronta, sempre di corsa, in giro come una trottola, ma con la consapevolezza e la determinazione che quello che stavamo facendo era per tutelare una persona perbene e politicamente esposta. Calcolare i percorsi migliori, valutare le alternative, organizzare le auto e gli altri mezzi per gli spostamenti, ruotare il personale di scorta, coordinare ogni spostamento con le varie Questure, confrontarmi con la segreteria: ogni dettaglio richiedeva saper giocare di squadra, oltre che imparare a fare i conti con l’imprevedibilità del Bobo.

“Ragazzi, ho cambiato programma! Dobbiamo andare a…”, ogni volta che ci dava questo tipo di comunicazioni gli spuntava un sorriso da guascone, con cui cercava di dirci che conosceva bene la complessità del nostro lavoro. In effetti, ogni volta ci costava una fatica pazzesca, ma con il senno del poi credo che i suoi cambiamenti dell’ultimo momento siano stati un efficacissimo deterrente contro qualunque malintenzionato. Ricordo le corse in moto. Per la verità, le nostre erano vere moto, lui aveva uno scooter vecchio, ma lo chiamava orgogliosamente “moto” e andava sempre a manetta.

In tanti anni è capitato, inevitabilmente, di condividere momenti di tensione: l’attacco degli ultrà alla festa della lega di Alzano Lombardo (BG) per la tessera del tifoso, qualche cretino che, vedendolo passeggiare per la sua Varese, diceva “andiamo a dargli una sberla”: erano quelli i momenti in cui noi, i suoi “angeli”, apparivamo dal nulla e tutto tornava alla normalità, spesso senza che nessuno si accorgesse del nostro intervento.  

Non l’ho mai visto arrabbiato, aveva sempre una parola, un gesto un sorriso per tutti e la cosa che ho apprezzato di più era la sua acuta intelligenza. Ascoltarlo era sempre un insegnamento.

Nel 2018 decisi di lasciare la grande famiglia della Polizia di Stato, ma a lui non dissi nulla fino a febbraio, quando il Ministero rispose alla mia richiesta di dimissioni volontarie.

Solo allora glielo dissi, e non fu facile.

“Ma come? Mi lasci solo…”, fu la sua prima reazione.

Tuttavia, quando gli spiegai che volevo evitare che la mia scelta potesse essere strumentalizzata, lui capì subito. E da allora, anche se non per ragioni di servizio, continuammo a sentirci, a scherzare, come due vecchi amici. Da qui si capisce il motivo per cui, ripensando a quel periodo, rifarei tutto: perché una persona come Roberto Maroni non la troverò più.

Stay tuned!

Mirko Talamona

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